Pasquale Bottiglione
DIVINA COMMEDIA DEL XX SECOLO
L’INFERNO
978-88-6674-361-3

In preda alla nostalgia del Novecento, Pasquale Bottiglione ha scritto questo libro andando a scovare quei titani della Storia del XX secolo che hanno sconvolto con cambiamenti epocali e roboanti l’umanità, o hanno suscitato morboso interesse lasciandosi dietro una scia indelebile di clamore e scandalo nella vita terrena. Personaggi spesso controversi ed odiosi, ma mai noiosi.

Immedesimandosi il più possibile in loro, come imitatore o ritrattista o attore, si inoltra nelle singole personalità, nel pensiero, ai confini della verosimiglianza identitaria, fino alla emulazione dell’imitato.

La “Divina Commedia del XX secolo” è una incursione giornalistica tra personaggi più piccanti della storia contemporanea e l’Autore si fa attore, interprete di queste figure o figuri, alla stregua di un Alighiero Noschese che si esercita allo specchio per cogliere ogni smorfia, ogni tic, ogni posa, ogni debolezza del soggetto incarnato, senza curarsi di sfiorare il ridicolo e mescolarlo nel dramma.

Ciascun colloquio trova nell’interrogante lo spirito irriverente dell’investigatore che scruta l’animo del dannato di turno senza sconti, con licenziosità scanzonata, in maniera insolente e quasi eversiva.

Il contraddittorio dialogico, tra Dante e i suoi interlocutori, condito spesso di satira sferzante, attribuisce all’opera un esilarante impasto umoristico. Ancor prima di essere celia e scherno nei frequenti dialoghi, il testo è già satira nel preambolo artistico di ogni ritratto, quasi cartellonistica per eccellenza, espressa nel surrealismo dei dipinti trasfigurati secondo la divina potestà del contrappasso.

Proposito dell’Autore, fin dal principio di questo libro, è di rendere gli spiriti più umani e gli uomini più spirituali. Così ha voluto accorciare le distanze tra la vita terrena e la vita eterna, sì da render palpabile la comunicazione affettiva tra i viventi e le anime dei trapassati, nella consapevolezza che la nostra comparsa terrena è solo un ponte e che l’unica vera morte è in fin dei conti, l’oblìo.